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Note dal giardino di acclimatazione del Cigliolo
di Piero Caneti
giugno 2003
Molti anni fa un bel libro di Rachel Carson fu intitolato "Primavera silenziosa". Oggi l'ultima primavera che stiamo per lasciarci alle spalle, la potremmo definire "primavera terrificante". Si può attribuire ad una stagione un epiteto simile? Il giardiniere mediterraneo esprime con parole forti lo stato d'animo che un evento meteorologico straordinario gli suscita, perché non può fare a meno di partecipare alla sofferenza delle piante. Sa bene che le parole non potranno mai incidere sull'evento, tuttavia se la prende con le bizzarrie del clima e si dispera.
Eppure dovrebbe svincolarsi dalla sua folle infatuazione per il mondo vegetale, evitando di antropizzarlo e ponendosi invece, all'indomani di un avvenimento eccezionale, con il piglio dell'osservatore che esamina, discute pacatamente e fa tesoro dell'insegnamento che madre natura ci indica anche nei momenti più terribili. A tale proposito giova ricordare quanto si racconta nel Vangelo: gli Apostoli non nascondono il loro ribrezzo di fronte ad un cane morto che incontrano lungo la strada, ma Gesù li invita ad ammirare la magnifica dentatura che aveva l'animale! Con un vecchio adagio potremmo pure dire: non tutto il male vien per nuocere, insomma la "primavera terrificante" rimane tale, ma ora sappiamo, con certezza, quali saranno le vittime fra le piante quando si verificherà di nuovo una gelata tardiva di rara intensità. Perché si è trattato proprio di un fenomeno tipico del clima mediterraneo; quei colpi di coda dell'inverno che ci colpiscono assiduamente fra la fine di marzo e i primi di aprile. Gli studiosi però sono risaliti addirittura al 1860 per trovare un abbassamento di temperatura analogo a quello delle due notti dell'8 e del 9 aprile. Il termometro di minima e massima installato presso il Giardino di Acclimatazione del Cigliolo, ha registrato in effetti due valori estremi, mai constatati in dodici anni di vita del giardino: -5.5°C e -4,0°C!
Lavatera thuringiaca
La maggior parte delle piante aveva già sviluppato nuovi getti di dieci centimetri e solo nelle più tardive le gemme, già gonfie, si sarebbero aperte in pochi giorni. Stupisce il fatto che le piante più danneggiate siano proprio quelle che anche in clima continentale si dimostrano nettamente rustiche nel periodo invernale. Le Ortensie, il Kaki e la Koelreuteria paniculata hanno riportato bruciature profonde sul verde, ma hanno seguito la stessa sorte anche due autoctone di razza come il Fico e l'Oleandro. Sulle Melia azederach, colpita nelle ultime due gemme apicali, lo Jasminum humile 'Revolutum', la Gordonia axillaris e il Drimys winteri non avevamo invece alcun dubbio perché in altre occasioni avevano dimostrato di non gradire il gelo forte e prolungato. Nessuna specie comunque ha subito offese irreparabili sebbene sul Fico e sulla Melia azderach si sia notato il risveglio di numerose gemme dormienti lungo i rami, fenomeno conseguente ad uno stato di sofferenza estrema come quello provocato da una potatura drastica o dalla capitozzatura. Passata la buriana e solo quando la temperatura notturna si è attestata su valori di normalità, si è provveduto ad asportare delicatamente le parti morte, ma ci sono voluti circa venti giorni per recuperare lo sviluppo vegetativo originario.
La seconda osservazione riguarda le specie autoctone e quelle provenienti da zone geografiche con clima simile a quello mediterraneo. Nessuna ha manifestato il minimo effetto di patimento, neppure quelle che si trovavano in fiore. Fra i tanti casi dei quali ci si attendeva la conferma, è invece con estremo piacere e con un certo sbalordimento che abbiamo registrato la forte rusticità di specie definite come delicate in molti manuali, anche i più seri. Ciò significa che non bisogna mai pretendere di aver detto tutto riguardo alle capacità di acclimatazione delle piante e che dobbiamo ancora sperimentare svariate combinazioni, forse infinite, fra gelo umidità e stagione prima di avanzare previsioni sicure. Basti citare il caso di Pistacia vera. La pianta maschile, in piena fioritura, non è stata colpita dalla gelata tardiva ed è riuscita ad impollinare quella femminile. La soddisfazione del giardiniere è poca cosa di fronte alla prospettiva di coltivare un fruttifero di pregio fuori da Bronte, la zona storica di produzione del pistacchio.
Anche le californiane – Fremontodendron californicum e Carpenteria californica – meriterebbero davvero di entrare in giardini meno favoriti dal clima, mentre Dregea sinensis e Abutilon megapotamicum possono forse togliersi di dosso l'etichetta di 'delicate' vista la loro perfetta adattabilità. A. megapotamicum, sorpreso dal gelo in piena fioritura, ha continuato a fiorire come sempre.
Dregea sinensis
Di solito gli eventi meteorologici anomali si presentano a distanza di alcuni anni uno dall'altro e quindi una volta ristabilita la temperatura normale eravamo già pronti a tirare un sospiro di sollievo quando, verso la fine di aprile, è iniziata una pericolosa, totale siccità che si è prolungata fino all'ultimo giorno di maggio. Pericolosa perché in questo periodo e non in luglio-agosto le piante, in clima mediterraneo, hanno un bisogno vitale di acqua. Devono fare fronte ad uno sviluppo impetuoso di nuova vegetazione e molte concentrano proprio in primavera la produzione di fiori, consapevoli del fatto che in estate dovranno impiegare tutta la loro forza per resistere al caldo e alla siccità. Privare le piante di acqua in maggio significa costringerle a sconvolgere il loro ciclo biologico, mantenendole in uno stato di precarietà fino all'autunno. Gli effetti sono visibili subito: le rose, nel mese in cui esprimono il massimo della loro bellezza, hanno almeno dimezzato il periodo di fioritura. Solo nei giardini inzuppati di acqua proveniente dagli impianti di irrigazione non ci si è accorti di nulla. L'artificio nasconde i sintomi del fenomeno e ci fa vivere in uno stato di falsa leggerezza, in completa astrazione con la natura.
Anche i Cisti, che nonostante la loro predilezione per l'aridità si ammantano però di fiori coloratissimi quando nel terreno ci sono forti riserve di umidità, hanno anticipato la loro veste dimessa e polverosa dopo una fugace ed indecisa fioritura.
Si può dire che immediatamente dopo la gelata l'esigenza di ricostruire le giovani gettate perdute ha trovato nella siccità un ostacolo imprevisto che determinerà inevitabilmente un rallentamento della crescita complessiva delle piante.
Anche la talpa in questo caso modifica la sua attività di scavo in modo da aggravare il danno che normalmente arreca alle piante appena messe a dimora. E' la stagione degli amori e le sue scorribande si alternano ad una ricerca di cibo sempre più precaria in un terreno reso duro dalla siccità. Per questo motivo concentra la costruzione dei tunnel proprio attorno all'apparato radicale delle giovani piante, dove il terreno è morbido perché necessariamente annaffiato dal giardiniere. Non ha ritegno alcuno la talpa: si insinua anche fra le radici e non è raro che le piante muoiano.
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